sabato 14 luglio 2012

E che fine fa la poesia?


Disappunto.
Tra le varie citazioni che si leggono in giro, alcune delle quali sono pura poesia, altre simpatiche da riderci una settimana intera, ce ne sono anche di quelle che non si reggono. Ora, io non voglio dire, i gusti sono gusti, e ci mancherebbe altro, c'è chi ama Shakespeare e Neruda e chi invece li considera troppo smielati per cui preferisce la brutalità di autori come Bukowski, o la Merini, i quali comunque mettono nei loro scritti le proprie personali esperienze, tutt'altro che facili, e vissute più nella disperazione che altro, esperienze personali e non universali, bellissimi in certi casi (e parlo della Merini,  Bukowski più no che sì), ma non nelle mie corde, per dire, persone ammirevoli, grandi, sulle quali però non puoi prescindere dalle loro personali esperienze di vita. Mentre autori come Neruda o Shakespeare esprimono pensieri universali, che riguardano tutti al di sopra delle esperienze  personali, sia per quello che dicono sia per COME lo dicono. Ma d'accordo, possono non piacere. Però se leggo che Romeo e Giulietta non è altro che la storia di tre giorni tra due quattordicenni che finiscono con l'ammazzarsi, francamente resto allibita. D'accordo, è la storia di due ragazzini che finisce in tragedia, certo, così come è vero che Otello ammazza Desdemona per colpa di un fazzoletto, oppure Amleto era matto. E finisce là. E la poesia dov'è? La forza poetica di quanto viene espresso in questi capolavori dov'è andata a finire? Si considerano sublimi i versi di autori che comunque mettono loro esperienze personali che se non si vivono non si possono capire fino in fondo e si cancella di netto tutta la poesia presente in quelle tragedie, dove sono presenti tutti, ma tutti, i sentimenti umani, dall'amore assoluto alla rabbia alla vendetta al dolore per la perdita, alla falsità, al buonismo e alla grettezza d'animo, tutti. E questi riducono il tutto alla vicenda in sé. Allora diciamo che la Divina Commedia è l'opera di un visionario svalvolato, che i Promessi sposi sono un blando racconto di storia d'amore paesana, il Cyrano è la storia di un tizio esteticamente inguardabile innamorato senza speranza di sua cugina! E aggiungiamo anche, per parità, che Bukowski e la Merini mettono nei loro scritti i propri forti drammi di vita, troppo personali per essere considerati universali. Ecco, sì, leggiamoli pure con questi occhi qui. E facevano bene gli ermetici a limitarsi a mettere una parola dietro l'altra, senza alcun senso né alcuna profondità.
Ma la poesia che fine fa?

E tanto per contrastare quelli che ostinatamente danno addosso a Shakespeare. Questo grandissimo scrittore non ha fatto (e benissimo) che una cosa nei suoi scritti: dimostrare che ogni nostra azione, fin dalla più semplice tipo bere un bicchiere d'acqua, è dettata da quello che noi proviamo, che sia necessità, o sensazione o sentimento. Tutte le vicende umane derivano esclusivamente dalle reazioni che abbiamo generate dai nostri sentimenti, il che è assoluta verità. Una reazione tragica è dettata da un dolore che proviamo mentre una reazione buona è dettata dalla gioia, se si prova allegria si agisce ridendo se  si prova dispiacere si agisce piangendo. Questo è quanto ha detto Shakespeare e sfido chiunque a dire che non sia esattamente così.  La sua poesia sta poi nel come l'ha detto, e questo, ci sta, può anche non piacere. Ma da qui a dire che le sue storie sono mere storielle che finiscono nell'assurdo vuol dire proprio bestemmiare sulla poesia. Bisognerebbe dire piuttosto il contrario, cioè che lui è riuscito a fare poesia pura di quelli che possono essere considerati "fatti di cronaca". E questa è Arte.

.....T'amo senza sapere come, né quando, né da dove, 
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio: 
così ti amo perché non so amare altrimenti che così, 
in questo modo in cui non sono e non sei, 
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia, 
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno. 
~ Pablo Neruda ~

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