In una casetta di pietra vivevano una
vedova e suo figlio Giacomino. Avevano solo una mucca che dava loro ogni
giorno latte che vendevano per campare, seppure miseramente. Ma la
mucca invecchiava, allora la vedova l’affidò al figlio perché la
portasse al mercato, dove avrebbe potuto venderla. Lungo la strada,
Giacomino s’imbatté in un viandante, un tipo curioso che propose al
giovane di barattare la sua mucca in cambio di cinque fagioli magici.
Giacomino non sapeva come comportarsi, ma alla fine accettò la proposta.
Una volta a casa la madre si mise le mani nei capelli e, per la rabbia e
lo sconforto, afferrò i cinque fagioli e li fece volare fuori dalla
finestra. L’indomani Giacomino vide che nel punto in cui erano stati
gettati i fagioli era spuntata una pianta di fagiolo gigantesca: non se
ne vedeva la cima. Incuriosito, vi si arrampicò e, quando giunse sopra
le nuvole, vide un castello. Quando vi entrò, fu accolto dal vocione
della padrona di casa, che era un’orchessa. Suo marito, l’orco, era
violento lei invece era mite e provò subito simpatia per Giacomino.
Così, quando l’orco rientrò, per evitare la sua ira, la donna fece
nascondere Giacomino nel forno. Dopo cena, mentre contava una gran
quantità di monete d’oro, l’orco si addormentò e, approfittando del
fatto che l’orchessa era andata ad accudire le galline, Giacomino uscì
dal nascondiglio, riempì un sacchetto di monete, tornò svelto alla
pianta di fagiolo e, piano piano, scese verso casa. Con quelle monete,
madre e figlio vissero finalmente senza problemi, almeno per un bel po’.
Ma anche se erano tante, le monete finirono. Perciò Giacomino tornò
alla casa dell’orco e si nascose. Vide l’omone accarezzare una gallina
e, al colmo della meraviglia, vide la gallina deporre un uovo tutto
d’oro. Così, anche questa volta, non appena l’orco prese a russare, con
un balzo Giacomino afferrò la gallina e, tenendola ben stretta, dalla
torre del castello balzò sulle nuvole e raggiunse la cima della pianta
calandosi giù.
Grazie alle uova d’oro, Giacomino fece costruire un
grande e lussuoso palazzo dove andò ad abitare con la madre. Nel palazzo
le porte non venivano mai chiuse. Tutti potevano entrarvi e ristorarsi,
soprattutto i diseredati, perché Giacomino aveva buon cuore e non
dimenticava i tempi difficili della sua povertà. Un triste giorno, però,
la madre di Giacomino cadde ammalata, di un male che i medici non
riuscivano a capire. Era come se non le importasse più di vivere. Aveva
perduto il sorriso. Non provava entusiasmo per nulla. Inoltre rifiutava
il cibo e perciò deperiva, chiusa in una profonda malinconia. Giacomino
invitò a palazzo clown e giullari perché, con i loro giochi, e con i
loro scherzi, le risollevassero il morale. Ma non ci fu nulla da fare.
Decise allora di tornare nel castello dell’orco sperando di trovarvi in
qualche modo un rimedio. Si arrampicò di nuovo sul fagiolo, raggiunse il
castello e qui, senza farsi scorgere da nessuno, si rifugiò dentro una
pentola e attese gli eventi.
Ed
eccolo, l’orco, giungere con i suoi passi pesanti. Cenò, poi trasse da
una cassapanca un’arpa magica e lo strumento iniziò a suonare, da solo,
una melodia dolcissima: così dolce che l’orco, dopo aver sorriso e poi
riso di gusto, si addormentò.
Lesto,
Giacomino scattò fuori dalla pentola, prese al volo l’arpa e fuggì verso
il fagiolo per ridiscendere a terra, ma questa volta l’orco lo vide e
lo inseguì. Il ragazzo, con l’orco alle calcagna, raggiunse prima la
chioma, poi il fusto della pianta e, con il fiato grosso e il cuore che
gli batteva forte, cominciò a scendere lasciandosi scivolare verso il
basso. Non aveva ancora toccato terra, che l’arpa si mise a suonare una
nuova melodia, ancora più dolce. Ed ecco, per incanto, la madre di
Giacomino cominciò a sorridere: andò incontro al figlio e lo abbracciò.
Sembrava addirittura ringiovanita ed era di sicuro guarita, grazie a
quel suono.
Tuttavia Giacomino non ebbe tempo di rallegrarsi perché s’accorse che la pianta oscillava sotto il peso dell’orco che, trovata la strada, scendeva a riprendersi l’arpa: si può immaginare quanto fosse arrabbiato.
Non c’era un minuto da perdere. Giacomino corse a prendere una scure e vibrò contro il fagiolo molti colpi ben assestati. Gli stivaloni dell’orco erano già in vista, quando la pianta cedette, trascinando l’orco in un burrone.
Tuttavia Giacomino non ebbe tempo di rallegrarsi perché s’accorse che la pianta oscillava sotto il peso dell’orco che, trovata la strada, scendeva a riprendersi l’arpa: si può immaginare quanto fosse arrabbiato.
Non c’era un minuto da perdere. Giacomino corse a prendere una scure e vibrò contro il fagiolo molti colpi ben assestati. Gli stivaloni dell’orco erano già in vista, quando la pianta cedette, trascinando l’orco in un burrone.
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Certo che erano un po' inquietanti le favole di una volta. Con i loro
lupi, orchi, streghe e giganti, hanno contribuito spesso e volentieri ad
alimentare una fobia a priori verso il lupo, le persone con anomalie o
difetti fisici, e le vecchiette magre e un po' arcigne che non per
questo si possono definire streghe. Più che favole sono racconti
dell'orrore. Spaventerebbero qualsiasi bambino....tranne quelli di oggi.
Che non solo crescono abituati a "mostri", proposti nei cartoni animati
o nei film ad alti effetti speciali, ma tendono anche a non credere
nelle favole molto presto. Da una parte è un bene, meglio non credere
nei lupi cattivi, nelle streghe o negli orchi. Ma da un'altra non so.
Sono del tutto contraria alla tendenza a distruggere la fantasia di un
bambino, il suo mondo è fatto di quella, lo rende forte e capace di
affrontare le sue paure, anche magari idealizzando la brutalità del
mondo reale. E' così sbagliato idealizzare il reale? Molti non
comprendono che non significa mica non vivere sulla terra. Significa
semplicemente vivere le cose sempre al bello, nonostante le botte che
sistematicamente tutti riceviamo dalla vita. E' una capacità che
probabilmente dipende molto dal carattere, ma che si può senz'altro
definire un pregio, direi. Ho sempre ammirato il personaggio di Don
Chisciotte, e le sue imprese strampalate ma vissute da lui - uomo più
che adulto - con tutto l'entusiasmo di un bambino. Si sa, però, questo
incredibile personaggio è il simbolo della pazzia....solo perché crede
(e vede) in cose in cui un adulto, in quanto tale, "non dovrebbe"
credere. Vi dirò, per me invece i pazzi sono gli altri, quelli che, in
quanto "adulti, si rifiutano proprio di cogliere la magia che è nella
realtà, lasciandosi inghiottire da lupi cattivi, orchi e streghe ,
senza essere mai capaci, come Jack, di scaraventare l'orco in un
burrone.
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