per la serie: letture di fine estate, ho trovato la leggenda che narra come mai il pettirosso ha il petto rosso, un altro quesito della mia curiosità che non ricordo di avere mai soddisfacentemente soddisfatto, se non in minima parte. Per chi vuole, come me, soddisfarla, ecco di seguito, tutta intera, la bella storia del petto rosso del pettirosso.
Buona lettura.
Era in quel tempo, quando Nostro Signore creò il
mondo, quando creò non soltanto il cielo e la terra, ma anche tutti gli animali
e le piante, e in pari tempo distribuì i nomi. Esistono molte storie di quel
tempo, e se si
sapessero tutte avremmo anche la spiegazione di tutte le cose del mondo
che ora non si possono comprendere.
Fu allora che un giorno, mentre Nostro Signore
stava a sedere in Paradiso a dipingere gli uccelli, venne a mancare il colore
sulla tavolozza, così che il picchio sarebbe rimasto senza colore se Egli non
avesse ripulito tutti i pennelli sulle sue penne.
E fu allora che l'asino acquistò le sue orecchie
lunghe, perché non si ricordava il nome che aveva ricevuto. Lo dimenticò
appena ebbe fatto alcuni passi sui prati del Paradiso e tornò indietro tre volte a domandare come si
chiamava, finché Nostro Signore s'impazientì un pochino e prendendolo per le
orecchie disse: «Il tuo nome è asino, asino, asino ».
E nel dirlo gli allungò le orecchie perché gli venisse
l'udito migliore e ricordasse quello che gli si diceva.
Fu nello stesso giorno che l'ape fu punita. Perché
appena fu creata incominciò a raccogliere miele, e gli animali e gli uomini,
che si accorsero del dolce profumo del miele, vennero ad assaggiarlo. Ma l'ape
voleva conservare tutto per sé e con le sue punture velenose scacciava tutti
quelli che si avvicinavano all'alveare. Nostro Signore vide e chiamò a sé
l'ape e la punì.
«Io ti ho dato la facoltà di raccogliere il miele
che è ciò che la creazione ha di più dolce,» disse Nostro Signore «ma non per
questo ti ho dato il diritto d'essere cattiva col tuo prossimo. E ora
ricordati: ogni volta che pungerai qualcuno che vorrà assaggiare il tuo miele,
tu morrai!»
Già, fu allora che il grillo divenne cieco e la
formica perse le sue ali; accaddero tante cose straordinarie in quel giorno.
Nostro Signore, grande e mite, era seduto tutto il
giorno a creare e a formare, e verso sera gli venne in mente di creare un
piccolo uccello grigio.
«Ricordati che il tuo nome è pettirosso!» disse
Nostro Signore all'uccello quando fu pronto. Lo depose sulla palma della sua
mano e lo fece volare.
Ma dopo che l'uccello ebbe fatto un piccolo volo ed
ebbe ammirato la bella terra sulla quale doveva vivere, gli venne voglia di
mirarsi. Allora vide che era tutto grigio, il petto come tutto il resto. Il
pettirosso si voltò e rivoltò rispecchiandosi nell'acqua, ma non poté scoprire
neppure una penna rossa.
E così l' uccello rivolò da Nostro Signore.
Egli, grande e mite, era a sedere, e dalle sue mani
uscivano farfalle che svolazzavano intorno alla sua testa, piccioni garrivano
sulle sue spalle, e dalla terra intorno a lui sorgevano rose, gigli e
pratoline.
Il cuore dell'uccellino batteva per il timore, ma
descrivendo leggeri giri volava sempre più vicino a Nostro Signore e
finalmente si lasciò cadere sulla sua mano.
Così Nostro Signore gli domandò quello che
desiderava.
«Io voglio
soltanto chiederti una cosa» disse l'uccellino.
«Cos'è che
desideri sapere?» disse , Nostro Signore.
«Perché debbo chiamarmi pettirosso, mentre son
tutto grigio dalla punta del becco sino alla coda? Perché mi chiamo pettirosso
quando non posseggo neppure una penna rossa?»
E l'uccello con i suoi occhiettini neri lo guardò
implorando e voltò la testolina. Da per tutto, attorno, vide fagiani tutti
rossi sotto un leggero pulviscolo d'oro, pappagalli con ricchi collari rossi,
galli con creste rosse, senza parlare delle farfalle, dei pesciolini rossi e
delle rose. E naturalmente pensò che occorreva così poco, una sola goccia di
colore rosso sul suo petto, per farlo diventare un bell'uccello, a cui il suo
nome sarebbe stato adatto.
« Perché debbo chiamarmi pettirosso, se son tutto
grigio? » domandò di nuovo l'uccello, e aspettò che Nostro Signore gli dicesse:
"Ah,
amico mio, vedo che ho dimenticato di dipingere in rosso le penne del tuo
petto, ma aspetta solamente un momento e sarà fatto".
Ma Egli
sorrise soltanto e disse: «Ti ho chiamato pettirosso, e pettirosso ti
chiamerai, ma cercati da te il mezzo di meritarti le tue penne rosse».
E così Nostro Signore alzò la mano e lasciò che
l'uccello rivolasse per il mondo.
L'uccello volò in Paradiso con molti pensieri. Che
cosa poteva fare un uccellino come lui per procurarsi delle penne rosse? L'unica cosa che gli venisse in mente fu di
fabbricarsi il nido in mezzo ai prunai. Egli s'annidò fra le spine nel folto
della macchia. Pareva stesse aspettando che una foglia di rosa gli si
attaccasse al petto e gli desse il suo colore.
Un numero infinito d'anni erano trascorsi da quel
giorno che fu il più bello sulla terra. D'allora in poi gli animali e gli
uomini avevano abbandonato il Paradiso e si erano sparsi sulla terra. E gli
uomini erano giunti al punto d'imparare a lavorare la terra e a navigare sul
mare, si erano fatti abiti e utensili; da molto tempo avevano già imparato a
fabbricare grandi templi e città potenti, come Tebe, Roma e Gerusalemme.
Spuntò un giorno nuovo che non doveva esser mai più dimenticato
nella storia del mondo e all'alba di quel giorno il pettirosso era posato su un
piccolo colle nudo fuori le mura di Gerusalemme e cantava per i suoi piccini
che si trovavano nel piccolo nido in mezzo ai bassi cespugli di spine.
L'uccello
raccontava ai suoi nati il giorno meraviglioso della creazione e la
distribuzione dei nomi: così aveva raccontato ogni pettirosso dal primo in poi,
che aveva udito la parola di Dio ed era uscito dalla Sua mano.
«E ora vedete,» concluse tristemente il
pettirosso «tanti anni sono passati, tante rose sono sbocciate, tanti piccoli
uccelli sono sgusciati dalle uova dal giorno della creazione in poi, che non
c'è nessuno capace di contarli, ma il pettirosso è ancora un uccellino grigio.
Ancora non è riuscito a conquistarsi le penne rosse.». I piccini spalancarono
i piccoli becchi e domandarono se gli antenati non avevano cercato di compiere
qualche grande opera per conquistare il prezioso colore.
«Abbiamo fatto tutto quello che abbiamo potuto,»
disse l'uccellino «ma siamo stati tutti sfortunati. Già il primo pettirosso,
una volta, incontrò un altro uccello che gli rassomigliava completamente, e
subito si mise ad amarlo con un amore così violento da sentirsi arroventare il
petto. Ah, pensò allora, adesso comprendo. Nostro Signore vuole che io ami con
tale ardore, che le penne del mio petto abbiano a tingersi di rosso per il
caldo d'amore che ho nel cuore. Ma egli s'ingannava, così come si sono
ingannati tutti gli altri dopo di lui e come c'inganneremo anche noi.»
I piccini cinguettarono tristemente, incominciavano
già ad affliggersi perché la tinta rossa non avrebbe adornato i loro piccoli
petti coperti di peluria.
«Abbiamo anche sperato nel nostro canto» disse
l'uccello vecchio parlando con toni prolungati. « Già il primo pettirosso
cantava così; il petto dall'entusiasmo gli si gonfiava, ed egli ritornava a
sperare. Ah, pensava, la fiamma del canto che ho nell'anima, tingerà di rosso
le penne del mio petto. Ma s’ingannava, come si sono ingannati tutti gli altri
dopo di lui, come c'inganneremo anche noi.»
Si sentì di nuovo un triste cinguettio uscir dalle
gole mezze nude dei piccini.
«Abbiamo anche sperato nel nostro coraggio e
valore » disse l'uccello.
«Già il primo pettirosso si batté valorosamente
con gli altri uccelli e il suo petto s'infiammò dal piacere di combattere. Ah,
pensò, le penne del mio petto si tingeranno di rosso per la gioia della lotta
che arde nel mio cuore. Ma s'ingannò, come si sono ingannati dopo di lui tutti
gli altri, come c'inganneremo anche noi.»
I piccini cinguettarono coraggiosamente che
volevano ancora tentare di conquistare il premio tanto ambito, ma l'uccello rispose tristemente che era
impossibile. Che cosa potevano sperare quando tanti antenati così bravi non
erano riusciti a raggiungere la mèta? Potevano fare di più che amare, cantare e
lottare? Che cosa potevano...
L'uccello si fermò in mezzo alla frase, perché da
una delle porte di Gerusalemme usciva una gran quantità di gente e tutta la
folla si dirigeva verso il colle dove l'uccello aveva il suo nido.
C'erano dei cavalieri su destrieri superbi, servi
con lunghe lance, assistenti del boia
con chiodi e martelli, v’erano sacerdoti dall’incedere dignitoso, e
giudici, donne piangenti, e davanti a tutti
una massa di popolo che correva selvaggiamente, un accompagnamento
orrendo, ululante di vagabondi. L'uccellino tremando stava sull'orlo del suo
nido. Temeva ad ogni istante che il piccolo cespuglio di spine venisse
calpestato e i suoi piccini rimanessero uccisi.
«State in guardia,» gridò ai piccini inermi «state tutti vicini e state zitti! Ecco un cavallo che viene proprio su di noi!
Ecco un guerriero coi sandali ferrati!
Ecco tutta la folla selvaggia!»
Ad un tratto l'uccello smise di gettare i suoi
gridi d'allarme e tacque. Dimenticò quasi il pericolo sovrastante.
Improvvisamente saltò giù nel nido, e allargò le
ali sopra ai piccini.
«No, è troppo tremendo» disse. «Io non voglio
che voi vediate. Sono tre malfattori che vengono crocifissi.»
E allargò le ali affinché i piccini nulla potessero
vedere. Udirono soltanto dei colpi di martello rimbombanti, grida di dolore e
gli urli selvaggi della folla.
Il pettirosso seguì tutto lo spettacolo con gli
occhi che si dilatavano dal terrore. Non poteva allontanare gli sguardi dai tre
infelici.
«Come gli uomini sono crudeli!» disse l'uccello
dopo un momento « non si accontentano d'inchiodare quei poveretti sulle croci,
no, sulla testa di uno hanno anche posto una corona di spine. Io vedo che le
spine hanno ferito la sua fronte così da fare scorrere il sangue» continuò. «E quell'uomo è così bello e si guarda attorno con sguardi così dolci che ognuno
deve sentire d'amarlo. Mi pare che una freccia mi stia trafiggendo il cuore
nel vederlo soffrire.»
Il piccolo uccello sentiva crescere la sua
compassione per l'incoronato di spine.
«Se io fossi mia sorella l'aquila,» pensò «strapperei i chiodi dalle sue mani e con i miei forti artigli scaccerei tutti
coloro che lo fanno soffrire.»
Egli vide
il sangue gocciolare sulla fronte del Crocifisso e non poté stare fermo nel suo
nido.
«Benché
non sia che piccolo e debole, pure debbo poter fare qualche cosa per questo
povero martoriato» pensò l’uccello: e allargò le ali e volò via per l’aria,
descrivendo larghi giri intorno al Crocifisso.
Gli volò
intorno parecchie volte senza ardire d’avvicinarsi, perché era un uccellino
timido, che non aveva mai osato avvicinarsi ad un uomo. Ma un po’ per volta si
fece coraggio, volò molto vicino e col becco tolse una spina che si era
piantata nella fronte del Crocifisso.
In quel
momento una goccia di sangue del Crocifisso cadde sul petto dell’uccello. Si
allargò rapidamente, colò giù e tinse tutte le pennine delicate del petto. Ma
il Crocifisso aperse le labbra e sussurrò all’uccello: «Per la tua pietà ora avrai quello che la
tua razza ha desiderato sempre da quando fu creato il mondo».
Poco
dopo, quando l’uccello ritornò al suo nido, i piccini gridarono: «Il tuo petto
è rosso, le penne del tuo petto sono più
rosse delle rose! »
«Non è che una goccia di sangue della fronte di
quel pover’uomo » disse l’uccello. «Scomparirà, appena farò il bagno in un
ruscello o in una limpida sorgente.»
Ma quando l’uccellino fece il bagno la macchia
rossa non scomparve dal suo petto, e quando i suoi piccini divennero grandi, la
tinta rossa splendeva anche sulle penne dei loro petti, come d’allora in poi
splende sul petto e sulla gola di ogni pettirosso.
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