Questo è.

Non credere che si possa diventare felici procurando l’infelicità altrui.
Seneca

Un'altra grande verità. E io ci sono incappata spesso e volentieri. Perché non sono mai riuscita a vivermi bene le situazioni in cui sapevo che la mia felicità procurava in qualche modo infelicità a qualcuno. Il guaio è che non ho voluto nemmeno rinunciare alla mia, ho lottato anche per questa, ma sempre e solo perché mi sono fidata dell'altra persona coinvolta e che affermava di essere io la fonte della sua felicità. Mi sono fidata, ho riposto la mia fiducia, in me e in quello che sentivo io, nell'altro, che poi si è rivelato tutto il contrario. Ma io non posso, non riesco a vivere una situazione in cui SO che qualcuno è infelice. Non può essere giusta se è così. E mi sono sempre resa conto, anche se magari non subito, che io stessa ho mandato a monte le cose (cioè la mia felicità, che però evidentemente avevo riposto male) appositamente, proprio perché non ero felice affatto. La fonte della mia felicità non c'era, era un'idea sbagliata, mal risposta. Una sensazione di amarezza, di incompletezza, di qualcosa che non si può vivere pienamente, dovuta sia ad altri che ne erano in qualche modo infelici, sia al fatto che la mia felicità in cui avevo creduto e ritenuta condivisa, non era come mi era stato detto. E la nota più stonata derivava proprio da questo. Per cui non solo la situazione per cui lottavo non c'era, ma ero anche sola a lottare, contrariamente a quanto avevo pensato, come, per fare un esempio, se andassi in tandem ma pedalassi solo io. E a peggiorare il tutto, c'erano altri che ne subivano infelicità. E allora niente, smetto di lottare, e tutto va a rotoli. Mi sono sempre presa la responsabilità dell'infelicità altrui, anche se solo pochissimi lo hanno fatto con la mia.

Una situazione che nasce storta, o non limpida, causando l'infelicità di altri, non potrà mai in nessun modo essere fonte di felicità. Questo lo so da sempre. E, quando è così, non riuscirò mai, e mai più a viverla.