lunedì 15 settembre 2008

Ho letto su un giornale....

una testimonianza vera che mi ha fatto pensare. Una donna di 31 anni, insegnante psicologa (tra l'altro in un liceo abruzzese), sposata e incinta, si invaghisce di un alunno di 5°. Lui si era rivolto a lei per sfogarsi sul fatto di aver lasciato la ragazza, la quale stava malissimo, e per questo si era sentito criticare da tutti. Le dice anche che era più che altro preoccupato per lo stato di salute della ex (anoressica), aggiungendo la richiesta di darle supporto psicologico.
La donna più stava e più era presa. Lui tornava spesso a parlare con lei, ed era nata una specie di "amicizia". Fino a quando lei decide di rivelare al ragazzo i suoi sentimenti. Quando questo avviene, lui scompare.
Insomma, alla fine del racconto la donna dice di essere rimasta col marito, che comunque ama, e col figlio adesso di qualche anno, ormai. Il marito era stato messo al corrente di tutto da lei stessa, e si era fidato di lei. Tra l'altro alla domanda "perchè ti fidi di me?" quest'uomo ha risposto "perchè è l'unico modo per starti vicino." Tra le parole di questa donna c'è anche la questione seguente: è possibile che per la nostra felicità dobbiamo far del male agli altri? Perchè lasciando il marito per seguire un...niente, alla fine..avrebbe solo fatto del male a tutti (compreso il ragazzo).
Quello che mi chiedevo, possibile che una psicologa non si sia posta la domanda se si trattasse di amore vero? No, anzi, dava per scontato che lo fosse. Ma come può nascere l'amore se non è alimentato? Non si è chiesta se poteva essere solo stima, perchè magari vedeva in quel ragazzo solo un forte coraggio nel lasciare la ragazza (cioè la via che percorreva per cambiare strada) affrontando poi le critiche di tutti? Oppure non si è chiesta se per lei poteva solo essere voglia di emozioni, nuove o anche vecchie, da rivivere e che ad una certa età (era incinta, le scelte erano fatte) si ritengono ormai irrecuperabili?
Perchè da psicologa non se l'è fatte queste domande?

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